Riflessioni su un viaggio americano. Prima parte

gary-marx.jpgBeh, non sono mai stato un filo americano. Anzi tutt’altro. Ne ho più volte e in più luoghi contestato la smania imperiale, i metodi poco ortodossi di gestire la politica internazionale, le varie guerre, l’individualismo sfrenato, il neoliberismo come dottrina, il popolusimo messianico, la falsa retorica, il falso pudore e l’ipocrisia di fondo che serpeggia a tutti i livelli. Mille altre critiche ho rivolto a questo paese. Ma in una cosa almeno gli USA sono infinitamente superiori a noi: nell’Università e nella ricerca. Parlar male dell’Università italiana è un po’ come sparare sulla croce rossa: mancanza di finanziamenti pubblici e privati, sistema di assunzione di ricercatori basato su meccanismi non trasparenti (per usare un eufemismo), sistema fortemente gerarchico, poca serietà di una parte del personale docente ecc, ecc, ecc. Potrei continuare un bel po’ elencando i guai dell’Università italiana, dove è molto più importate whom you know that what you know, dove devi passare il tempo a cercare amicizie e alleanze più che a fare ricerca e studiare, dove per farti pubblicare un articolo (o almeno sperare che lo leggano) devi conoscere qualcuno. Sì, lo squallore del mondo accademico italiano è ben noto. Ed ora non ne voglio parlare. Voglio invece elencare la grandezza dell’accademia statunitense e dei docenti che vi operano. Subito dopo il convegno (il fatto che abbiano invitato me a fianco di persone del calibro di David Lyon, James Rule, Gary T. Marx, Kevin Haggerty, Oscar H. Gandy, Jr, la dice lunga su un sistema non gerarchico) ho fatto colazione con Gary T. Marx. Che dire di lui: un grande, un mito, una persona (oltre che un docente di chiara fama internazionale) di un’umanità impensabile nell’accademia italiana. Ha insegnato alla University of California, Berkeley, ad Harvard ed ora Emiritus di sociologia all’MIT e pure abbiamo passato due ore in un bar a far colazione e parlare di sociologia. Vi immaginate un giovane studioso italiano (misero professore a contratto come me) che fa colazione con un ordinario direttore di importanti istituti di ricerca e parlare come due amici senza senza che la differenza di ruoli sia messa in risalto? Sì è vero qualcuno esiste anche da noi, ma la differenza è evidente: da noi sarebbe l’eccezione all’estero la regola.

Sono stato a cena con David Lyon. david-lyon.jpg

Che dire di lui: probabilmente il più importante studioso dei problemi legati alla sorveglianza, un punto di riferimento inevitabile per chi vuole avvicinarsi a questo ambito di studio. Abbiamo parlato per ore, chiacchierato di cose serie e meno serie, sociologia e sorveglianza, ma anche cibo e buon vino. Fate voi: sarebbe possibile in Italia? Beh, non direi. Io, misero docente, alle prime armi nella mia esperienza accademica e da poco interessato al tema della sorveglianza che passa due ore con il più importante studioso del settore. A dire il vero David Lyon, di origine inglese, insegna in Canada, alla Queen’s University, dove è Director of The Surveillance Project. Canada e USA sono infinitamente superiori all’Italia nel mondo universitario. Ma anche in Inghilterra, dove ho vissuto per un anno nell’incantevole Cambridge, l’aria che si respira è diversa. Anche là la stessa cosa: bersi una birra con John B. Thompson il direttore del dipartimento di sociologia di una delle più importanti università al mondo. Ah, la nostra italietta. Potrei fare mille altri esempi, ma come dicevo non voglio sparare sulla croce rossa. Volevo solo mettere in risalto le cose positive di un paese che per me continua a rimanere non la mia meta preferita. Una delle cose che forse più di tutte mi ha impressionato è il traffico: in California è assai raro vedere qualcuno che cammina per strada. Impossibile direi. Strade a sette corsie per senso di marcia fuori città e in città a tre corsie. Los Angeles è immensa, ma senza una macchina (minimo 3000 di cilindrata) non riesci a vedere niente. Senza una macchina con cui spostarti, muoverti, non avrebbe senso vivere in questa città. Mentre London, infinitamente più affascinante, una volta giunti in centro riesci a muoverti in ogni direzione grazie all’efficiente sistema di trasporti pubblici, a Los Angeles non puoi. Mentre a London per strada vedi e incontri alti uomini e donne, scambi un sorriso e sorvoli distratto, non così in California dove incontri macchine e Suv, caos e inquinamento. E’ una città costruita intorno alla macchina, non all’essere umano. Certo New York è un’altra storia. Ci sono stato tanto tempo fa, e là nel cuore della metropoli incontri altre persone, altri volti. Sorrisi? Beh, difficile a dirsi, tutti vanno di fronte, trasportati dall’onda dinamica. Ma almeno si vedono volti. Occhi, mani e gambe. Che corrono, sgambettano. Ma li vedi. Anche Boston è così. Probabilmente tutta l’east cost è così. Ma non la west cost, il far west da conquistare, costruire case indipendenti con piccolo giardino e posto auto. Città che crescono in orizzontale, rosicchiando sempre più spazio al verde e che poi necessitano delle macchine e del petrolio per muoversi. E allora guerre. Ma questa è un’altra storia.

Ma Los Angeles ha anche un’altra particolarità. Il cuore della città, la zona dei grattacieli, di mattina è affollata di business man che finiscono di lavorare alle cinque di pomeriggio. O giù di lì. A quell’ora loro ritornano nei loro lidi dorati, nelle loro villette protette con sistema di sorveglianza privati, e la città comincia a popolarsi di homeless, di persone senza fissa dimora, di persone povere, emarginate e che non partecipano ai ricchi banchetti del sistema. Le persone giacca e cravatta vanno via e le persone con cartoni e buste arrivano. La ricchezza fatta nel cuore della città emigra in periferia, la povertà di periferia si trasferisce al centro.

Una città double face…. continua….

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9 thoughts on “Riflessioni su un viaggio americano. Prima parte

  1. valentina

    Salve prof!sono finita nel suo blog ed era doveroso scriverle qualcosa!
    Innanzitutto complimenti per il blog, e grazie per renderci partecipi del suo pensiero e delle sue esperienze.
    è proprio vero che la nostra università(e tutto il sistema su cui si regge)è lontana anni luce dalle realtà degli altri paesi… ma in cuor mio spero sempre che le cose cambino, che ognuno di noi si impegni anche nelle cose più piccole e riesca ad apportare anche un minimo cambiamento…è l’augurio che le voglio fare, a lei come a tutti coloro che ancora credono in qualcosa e hanno il coraggio di portarla avanti…se poi i risultati non si vedranno subito pazienza! i nostri figli, o figli dei figli dei figli…qualcuno un giorno ne potrà usufruire no?? se poi avremo la fortuna di vederlo anche noi bè…benvenga!
    Buon lavoro da una ” misera” studentessa

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  2. Gabriele

    Ma si immagina se, qua in italia, scritto volutamente con la i minuscola, andassi a prendere un caffè con un professore? A parte che l’ho fatto alle scuole superiori, non volutamente. Un giorno di ordinaria follia presi i piedi e scelsi il bar piuttosto che la scuola. Non mi era mai capitato. Non l’avevo mai fatto. Volevo provare l’ebbrezza di “fare vela” senza essere scoperto, nella mia città. Queste cose in adolescenza si fanno. Queste cose, in adolescenza, si devono fare. Manco a dirlo, nel super-discreto bar a metà strada tra liceo classico e liceo linguistico, appartenenti uno all’altro in quanto a organizzazione d’istituto, chi mi vedo entrare? Il professore che avrebbe dovuto interrogarmi la mattina stessa. Panico.
    “Che ci fai qua?” solita frase pseudo-educativa.
    “Niente professò, aspetto un caffè” sottile ironia adolescenziale.
    “Perchè non vieni a berlo assieme a me al bancone?” sfida minacciosa inducente sensi di colpa.
    “Perchè no?” finto duro pseudo-balente
    Bevvi il caffè con lui.
    “Ora che sei riuscito a fregarmi per l’interrogazione, di certo non vorrai farlo pure nel conto del bar” pseudo-bastarderia del prof.
    “Oggi è la mia giornata professò, me la lasci godere fino alla fine. Arrivederci” grande colpo di coda del furbissimo diciassettenne.
    “Ci vediamo a scuola Gabriè” minaccia di uno che sa il fatto suo.
    L’indomani m’interrogò in filosofia, il professore. Prima domanda, incomprensibile. Seconda domanda, incomprensibile.
    “Perchè non rispondi Gabriè?”
    “Non ho capito le domande”.
    “Per forza, non sono domande. Sono risposte”.
    “Ah, perfetto”.
    “A posto. 3”.
    Ancor’oggi non riesco a capire il significato di questa storia. Vendetta o prassi educativa?
    Comunque sia, non credo, da quanto ho sentito dire da lei, che in America sarebbe capitata la stessa situazione. In fondo, credo che il professore l’abbia fatto per rivelare al pubblico presente (studenti in aula) che il caffè non era stato bevuto per secondi fini. O forse l’ha fatto per tranquillizzare e rivelare alla sua coscienza la propria purezza?
    In definitiva, il sistema è marcio. Qualunque sia stato il movente del prof, si nota benissimo che per un caffè con uno studente si sono azionati dei sistemi di difesa da parte sua senza la benchè minima necessità di doverlo fare.
    Chi è, quindi, tra me e il prof, che deve veramente avere i sensi di colpa per un diavolo di caffè?
    Questa storia non è assolutamente vera. Il fatto che io sia riuscito ad escogitarla, da prova di quanto sia io stesso marcio a poter pensare queste cose. Sono il frutto di una società all’insegna della falsità e dell’inganno, che mi ha insegnato e fatto vedere con occhi di timore alcune di queste situazioni succitate. E non escludo che comunque tale storia non sia mai capitata.
    Complimenti per il blog, continui a scriverci ed aggiornarlo.
    Un suo studente.

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  3. bash

    è sorprendente come a volte nei blog risultino più “interessanti” i commenti dei post stessi.

    sono stata una sua studentessa, 2 anni fà, e mi son ritrovata a bazzicare sul suo blog.
    (tra l’altro da assidua frequentatrice di blog e myspace, mi suona un pò strano darle del lei, attraverso un mezzo, che almeno in questi casi, abbatte molte delle gerarchie tra le persone…)
    Cmq, ho dato uno sguardo complessivo al blog, e nn sono riuscita ad evitare di scrivere la mia.
    e secondo me ha già avuto in parte la risposta alla sua domanda…
    xkè in italia nn è possibile comunicare con i professori universitari a livello personale????
    la risposta la trova nei commenti che le sono stati lasciati dai suoi studenti.
    la gara ai qualunquismi è patetica, mi dispiace ma nella maggior parte dei commenti nn ho intravisto una vera voglia di confronto, mi è sembrata più una gara a “ki ne sà di più”, ki fa “più bella figura” assecondando il pensiero del prof di turno.
    è questo che c rovina!!!
    tra l’altro trovo abbastanza ridicolo parlare di problemi di questo tipo in riferimento all’università di sassari, ke è ancora abbastanza “umana” (almeno la nostra facoltà).
    ho studiato un anno a Bologna, e li posso dire che davvero nn esiste nessun tipo di rapporto personale tra studenti e docenti, xkè l’università è troppo grande e ci sono migliaia di iscritti.
    ma da noi è mooolto diverso!!!
    poi, certo, il sistema universitario italiano, complessivo è ridicolo in confronto a quello americano o europeo, ma questa è una cosa nota a tutti.

    purtroppo quando scrivo sui blog, spesso mi sento dare della cattiva, ma quando leggo certe cose, nn mi riesco a trattenere…
    resto allibita nel leggere di una che “vuole meritarsi i voti” ma poi inizia scrivendo ke le sue sono le migliori lezioni ke abbia mai seguito ecc.. ecc..
    beh ma allora se la cercano???
    mi suona troppo di sviolinata un messaggio del genere, poi ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero, ovvio, ma si deve aspettare anke un riscontro ke nn dev’essere x forza positivo.

    Concludo con l’ultima cattiveria, xkè nn kiede ai suoi studenti cosa c’è scritto sul suo blog??
    scommetto ke molti erano talmente impegnati nel cercare la frase più a effetto da scriverle come commento, che hanno solo visto i suoi post, senza realmente leggerli.

    Senza scadere in banalità che preferirei evitare, trovo il suo blog molto interessante!

    Cordialità.

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  4. ggp

    a noi poveri mortali, sopravvissuti alle eruzioni vulcaniche e alle faide tra i paesi, i pochi rimasti a popolare la terra delle pecore e degli stabilimenti abbandonati, ci entusiasma tutto.
    da poco ci hanno asfaltato le strade. per il momento sfruttiamo la luce del sole ma, alle feste di campagna, il complesso che viene per cantare dal continente ci porta il gruppo elettrogeno e possiamo giocare alla murra e/o morra per tutta la notte. quando in sella al burrincheddu andiamo in piazza conte di moriana, e lo parcheggiamo in ordine sparso davanti all’ex zia rosa, il progresso ci sembra più vicino. E, legato il collare al montante del banco, contempliamo chi ci ingozza di convinzioni. E poi, quando finisce la lezione, destati dal miracolo andiamo a professare il verbo. O come siamo devoti! Assimiliamo la conoscenza per osmosi. Il giorno che le ho stretto la mano, carissimo e gentilissimo e onorevolissimo e illustrissimo professore, Bologna, Roma e Milano mi sembravano più vicine.
    Vaffanculo allo spirito critico delle persone che affiora grazie a una nuova leva di professori. Vaffanculo se hai trovato un parere che si avvicina al tuo e vuoi condividerlo (che parola grossa! meglio scrivere cose incomprensibili ma non essere banali, la metropoli apre gli occhi). Vaffanculo se hai frequentato una lezione che ti ha stimolato. Vaffanculo se papà non ha i soldi per spedirti in giro per il mondo civilizzato. Vaffanculo se per una volta ti è capitata la fortuna di avere un professore che si merita rispetto anche per come ti tratta.
    Senza scadere in banalità che preferirei evitare, ma sono quello che è al terzo anno della triennale che si siede al quarto posto a destra partendo dalla sestultima fila moltiplicato per tre.
    saluti

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  5. mragnedda

    Cara Bash puoi ovviamente darmi dal tu. Ci mancherebbe altro.
    Non credo tu sia stata cattiva: hai detto quello che pensavi. E’ questo mi pare più che sufficiente.
    Non credo sia una gara ai qualunquismi. Come tu hai espresso il tuo commento, altri lo hanno fatto, da una prospettiva diversa certo, ma credo con lealtà. Non credo neanche che ci sia voglia di “lecchinaggio” perché, in particolar modo quel post da te citato, è stato scritto con falso nome e con un indirizzo email chiaramente inesistente. Dunque non vi era voglia di farsi riconoscere.
    Chiedere agli studenti di dirmi cosa c’è scritto nel blog? Non credo sia un’ottima idea, perché in questo caso significherebbe “imporgli” di seguire il mio blog. E questo non è e non può essere di certo un obbligo. Mi pare un pò come quei docenti che chiedono la firma a lezione: gli studenti vanno perché devono firmare, hanno paura. Gli studenti che seguono una lezione lo devono fare perché motivati e non perché obbligati a farlo con la paura di subire ritorsioni all’esame. Stessa cosa per il blog. Ognuno è e deve sentirsi libero di fare ciò che crede, di scrivere ciò che ritiene opportuno (critiche o complimenti hanno lo stesso valore) o di non scrivere o di non leggere affatto il mio blog.

    Comunque, cara Tatiana, grazie per il tuo commento. Mi ha fatto piacere ritrovarti su questi schermi.

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  6. bash

    Alla fine qualcuno si è offesso, ne ero certa, e nn era nelle mie intenzioni.
    E probabilmente il mio messaggio nn è stato compreso.
    Innanzitutto anke io studio nella tua stessa facoltà Ggp, e nn ho criticato nessuno studente,
    semplicemente ho detto (xkè ritengo sia così) ke x fortuna da noi esiste ancora un contatto umano tra docenti e studenti(cosa ke ho constatato avendo avuto la fortuna e la possibilità di confrontarmi con altre realtà),
    nonostante tutti i difetti ke può avere la nostra facoltà.
    Secondo, il mio papà nn è ricco, ci sono andata a mie spese nel mondo civilizzato, e a mie spese ho deciso di tornare in questa terra delle pecore e degli stabilimenti abbandonati.
    E sono felicissima della mia scelta!
    Ma cmq, il discorso non era su di me, e nn mi sembra il luogo adatto per mettersi a scambiarsi frecciatine di ogni genere.

    Quello del chiedere del blog agli studenti voleva essere chiaramente una provocazione e non certo un consiglio!!!

    Sapevo che avresti capito chi sono!!!!
    Ciao
    Tatiana

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  7. mragnedda

    Cara Tatiana e car* tutt*. Un appendice per evitare di essere frainteso.

    Io parlo di sistema Università-Italia e non della facoltà di lettere e filosofia di Sassari, che anzi è sembra godere di buona salute. Condivido con Tatiana l’idea che, se non altro, da noi il contatto umano docenti-studenti è più che una realtà. Anzi è un suo punto di forza. La nostra facoltà è in piena crescita, dinamica, con una nuova gestione. Si sta ringiovanendo nella classe docente e questo, in genere, porta nuove idee, nuova linfa vitale. Il nuovo preside è molto attivo e dinamico (basti vedere quanto è cambiato dal suo insediamento ad oggi) e molto altro bolle in pentola. Ha ridotto notevolmente i tempi burocratici (l’ho sperimentato di persona durante la campagna di comunicazione sociale contro lo smog: ha tagliato completamente le lunghe e spesso incomprensibili attese), ha dato vita a molte iniziative, è sempre presente in facoltà ed è disponibile a confrontarsi sempre con gli studenti, oltre che con i docenti. Vi assicuro che, in Italia, è difficile trovare qualcuno così. Insomma non parlo della nostra facoltà che sta risalendo la classifica italiana e sono fiducioso sul suo futuro.

    Parlavo dell’Italia in generale. Parlavo dell’Università italiana. Parlavo della mancanza di finanziamenti, di sistema non sempre trasparente, di classismo e corporativismo di una certa classe docente. Anche questo l’ho sperimentato di persona. Due anni fa ho deciso di inviare 70 mie libri ad altrettanti docenti di sociologia della comunicazione. Un omaggio per presentarmi. Così come accade nelle altre università del mondo. Solo due mi hanno risposto: e manco a dirlo sono due persone che stimo molto (al di là del fatto che mi abbiano risposto). Due su settanta. Potevano dirmi almeno grazie, senza necessariamente fare un commento sul libro, che immagino avranno accantonato, se non cestinato.
    Ora questo sarebbe impensabile in qualsiasi università del mondo (occidentale). Mille altre esempi del genere potrei fare. Ma ora non è il caso. Era a questo genere di cose che facevo riferimento.
    Era dunque all’Università italiana in generale e non alla nostra facoltà che mi riferivo.

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  8. ggp

    buonasera Bash, buonasera titolare del blog, buonasera a tutti.
    premetto che non mi sono arrabbiato o offeso altrimenti sarei un visionario, in primis perchè il post criticato nello specifico non era stato scritto da me. Non sono l’avvocato di nessuno e sono sicuro che chiunque avrebbe potuto replicare qualora si fosse sentito colpito nel profondo.
    Ho voluto “solamente” provocare non te ma chiunque (anche il prof perchè no??) perchè condivido l’idea di scarsità/povertà di confronto tra studenti. Credevo fosse questo il succo del tuo post. La nostra università (italiana) è diventata un esamificio dove tutti transitano ma nessuno si ferma. L’ennesimo non luogo. Ho voluto utilizzare (nella prima parte del post) un registro pieno zeppo di luoghi comuni sulla NOSTRA terra e chiudere con un cappello ancor più provocatorio, mettendo in evidenza gli elementi (oltre al vaffanculo) che, a lungo termine, potrebbero -a mio avviso- essere la chiave di (s)volta per la NOSTRA facoltà (e quindi per tutti noi).
    Probabilmente ho ironizzato troppo e, a valutare la situazione, mi sento in dovere di porgerti le mie scuse. Sardo si, magari non molto civilizzato, ma non mi permetterei mai di giudicare ne te ne la tua famiglia. Tantomeno di farti i conti in tasca. Ho scritto in quel modo perchè sono fermamente convinto che Internet non sia uno strumento che ci mette in comunicazione ma in antagonismo. Prendi d’esempio i forum. Qualcuno scrive, qualcuno ancora forse legge. Chi risponde lo fa per distruggere la tua esposizione delle cose. E questo ormai lo stiamo metabolizzando anche a livello di percezione. Chi ci risponde o ha frainteso o non ci ha capito. Comunque.. pardon madame.
    Ulteriori scuse al titolare del blog-land per lo scrocco del territorio.
    saluti
    giangavino

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