Mafia e politica. Un tema caldo. Un tema spesso ai margini dei principali mezzi di informazione nazionale. A parlarne, a Sassari, il 19 maggio 2009 due ospiti di eccezione: l’ex sostituto procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris (il suo nome è legato alle inchieste scottanti «Toghe lucane» e «Why not») e la presidente nazionale parenti vittima della mafia, Sonia Alfano (figlia del coraggioso giornalista Beppe Alfano ucciso dalla mafia quasi quindici anni fa). Entrambi candidati dell’Idv alle elezioni europee del 6 e 7 giugno 2009. Non si è parlato di elezioni, ma di legalità, di rapporti tra mafia e politica, tra massoneria e politica. Si è parlato di politica con la P maiuscola dunque, e non di bassa e spesso retorica politica. A moderare l’incontro Massimo Ragnedda che ha invitato i due ospiti a fare luce su alcuni angoli bui della storia italiana degli ultimi 20 anni. E si è partiti dal 1992, anno cruciale nel rapporto tra mafia e politica. È in quell’anno infatti che fu ucciso Salvo Lima (democristiano della corrente andreottiana e considerato un uomo chiave nei rapporti tra mafia e politica); è in quell’anno che Borsellino rilascia la sua ultima intervista (dove accenna ai rapporti tra mafia e imprenditoria del nord, menzionando Dell’Utri, Mangano e Berlusconi); e sempre in quell’anno avvengono la strage di Capaci prima e Via D’Amelio poi che scuotono l’opinione pubblica nazionale.
La disamina di De Magistris è chiara e composta, colpisce per la precisione con la quale snocciola dati e nomi e spiazza per la franchezza delle sue parole che riempiono la sala stipata sino all’impossibile. D’altronde non potrebbe essere altrimenti per un magistrato del suo calibro che per quindici anni ha investigato, con passione genuina e dedizione, su questi temi. Così come ha indagato, per anni, sul delicatissimo rapporto tra massoneria e politica. Tema sul quale il moderatore ha spostato l’attenzione ricordando come non sia affatto fuori luogo parlarne, visto che molti degli iscritti ad una delle loggie massoniche deviate più importanti, la P2, ricoprano tutt’ora incarichi importanti, a partire dal presidente del consiglio. De Magistris ne parla ben volentieri aggiungendo come il piano di rinascita democratica ideato da Gelli sia stato in buona parte attuato ed in parte sia in fase di attuazione, ma precisando che sarebbe un errore pensare alle nuove loggie massoniche deviate, con i vecchi parametri. Sarebbe impensabile, sostiene, rinvenire un elenco con nomi e matricole degli iscritti, ma si tratta di un sistema molto più complesso ed articolato. Così come molto più articolate e sofisticate sono le modalità di corruzione, sulle quali si sofferma in maniera molto approfondita. La mazzetta, la bustarella con dentro il denaro in contante, sicuramente ancora permangono nella cultura italiana, ma il “sistema corruzione” non è più solo ed esclusivamente legato al contante, ma comprende inserimenti in società partecipate, elargizioni di incarichi anche in posizioni istituzionali. Il controllo e la gestione ha un’utilità e un tornaconto maggiore rispetto al denaro contante, ed è su questo che si elaborano strategie di corruzione.
Forse perché De Magistris parla con passione e chiarezza rare, o forse perchè non si è più abituati, dopo tanti anni di informazione compiacente e soft priva di domande scomode, a sentire parlare di queste cose, ma il pubblico sembra ammutolito. Ed è sul tema del rapporto tra media e mafia che interviene Sonia Alfano, mettendo in luce come i giornalisti che contestano con dati di fatto quanto viene riferito dai politici, siano ben pochi. Non è solo un problema di capacità, ma è soprattutto un problema di compiacenza e volontà: è un problema di servilismo. Lo dice con una battuta, anche se l’aspetto di fondo è molto serio: i giornalisti, che dovrebbero essere i cani da guardia della democrazia, stanno diventando sempre di più dei barboncini da accompagnamento. Ovvero il giornalismo in Italia non sta più ricoprendo quel ruolo di vigilanza sui normali processi democratici, ma diventa molto servile con il potere, piegandosi ad esso, piuttosto di incalzarlo con domande, scomode per il potere e la casta dei politici, ma molto utili per il normale e trasparente processo democratico di un paese.
I temi trattati sono tanti: dalla cultura della legalità all’educazione alla legalità, dalla gestione dei finanziamenti europei sino ai rapporti politica magistratura. Ma il messaggio più forte che è passato è che, ricordando Giovanni Falcone, la mafia è un fenomeno culturale che può essere vinto solo da un salto generazionale di giovani educati alla legalità. Ed è per questo che incontri di questo spessore sono un concreto aiuto a sconfiggere questo fenomeno culturale. Sono, in altri termini, un concreto aiuto a sconfiggere la mafia.