Ci sono irrealtà che diventano reali grazie ai reality show e realtà che per poter apparire per quello che sono, ovvero reali, devono assumere le sembianze di un reality. Delle prime è piena la nostra tv, simulacro della realtà. Programmi al limite del macabro, lontane dalle realtà e popolate da personaggi più o meno squallidi, ballerini, nulla facenti e senza nulla saper fare. Alcuni hanno un pedigree artistico, magari hanno fatto radio e tv o sono starlette ormai appassite o ex calciatori che da tempo immemore hanno appeso le scarpe al chiodo. Hanno la nostalgia del flash che li abbaglia, dei riflettori accesi su di loro, delle chiacchiere sul loro conto. Peggio ancora: vi sono dei dementi che si chiudono in una casa e la gente li guarda sognando di poter stare lì dentro, in un’estasi di stupidità. Segno dei tempi. Tempi morti. Tempi appassiti. Relitti di realtà. Dio è morto in un reality show, avrebbe detto oggi Guccini. Vi sono poi delle realtà che nell’Italia berlusconiana, lobomotizzata e appassita dinnanzi alla tv, ai comici e ballerine, principi e donne seminude, stentano a trovare visibilità. Sono i tanti disoccupati, nell’ultimo anno ci dice l’Istat sono aumentati di 380.000, sono i cassintegrati, chi è a rischio perdita di lavoro, chi non ha futuro, chi mai c’è l’ha avuto. Chi mai ce l’avrà. Di questa Italia non si parla, l’informazione di regime non parla, non sente, non vede. Ma questa Italia esiste. Ahimè. Povertà in aumento, disoccupazione, salari sempre più bassi. Ma guai a parlarne. Ma guai a mostrare questo lato oscuro della realtà. Ma è la realtà. Meglio allora far vedere due donne seminude che aiutano un conduttore tv a far vincere (ma la vita non è quiz, o forse aveva ragione Arbore…) qualche fortunato una montagna di soldi. Ma non tutti possono vincere. Anzi quasi nessuno può vincere. Milioni di persone restano senza lavoro e quello che hanno lo stanno perdendo. Ma si parla di tette e culi, di comici e ballerine. E in tv il premier attacca i giudici e parla di riforme.
Che cosa siano poi le riforme io non l’ho ancora capito. Ma giù a parlare di riforme e a commentare l’ultima sua gaffe. E noi parliamo di gaffe (ma siamo sicuro si tratti di gaffe e non di orchestrate “uscite” per spostare l’attenzione) e i disoccupati crescono. La corruzione cresce. Il malaffare regna. Questa realtà non trova spazio nell’italiano medio lobomizzato. Non trova spazio nella tv minzoliana o masiana, non trova spazio. Punto. Non esiste in tv e perciò non esiste nella realtà. La tv è più reale del reale. Aveva ragione il buon Baudrillard. La tv ripropone tette e culi, ma dei cassintegrati neanche l’ombra. Ma quella realtà esiste e deve farsi sentire, trovare spazio, invitare la politica e l’opinione pubblica a pensare a loro. Allora salgono sui tetti, occupano aeroporti, stazioni degli autobus, salgono su delle gru o su delle torri aragonesi. Nella società dello spettacolo, se la tua azione non è spettacolare, non esiste. Per far emergere la normalità, si deve trasformare in anormale, per far emergere la realtà si deve trasformare in reality. Ma vi sono reality e reality dicevamo. Reality fittizi, vuoti, retorici, falsi ma che il pubblico ama come se fossero veri. Vi sono reality veri che invece stentano a trovare spazio sui media nazionali, perché non divertono. Troppo veri per divertire. Troppo reali per essere reality. Per farsi sentire, vedere, per invitare i mass media a parlare di loro, gli opera della Vinyls di Porto Torres, le hanno provate tutte. Proprio tutte. E allora non gli restava che la via dei reality. Altro brutto segno dei tempi. Si è costretti a questo per farsi sentire. E così da oltre un mese sono su un’isola deserta per dare voce alla loro lotta, chiusi in celle che furono di assassini e terroristi, mafiosi e criminali incalliti. Non in vacanza come alcuni insinuano. Ma in celle, in un’isola deserta, per far sentire la loro voce. Non stanno bene laggiù. Vorrebbero lavorare e non occupare un’isola per farsi sentire. Vorrebbero vivere la loro realtà e non trasformarsi in un reality. Vi sono reality e reality. Lo abbiamo detto. E lo ripetiamo. Nell’“isola dei cassintegrati” non vi sono le spiagge dorate del Nicaragua, non vi è Aldo Busi o chi per lui, che sbraita, ma operai che protestano, che vogliono farsi sentire. Vi sono operai in lotta, in un momento difficile, lontani dalle loro famiglie, dai loro affetti più cari. Senza un futuro certo. Ma lottano per dare un nome e un volto al loro futuro. E riescono a farsi sentire grazie ai social network. Su facebook il loro gruppo ha quasi 80mila membri, che crescono esponenzialmente. La stampa locale non poteva isolarli. Arrivano le Iene, ne parlano timidamente le tv, si fanno sentire, qualcosa si smuove. La trattativa è complessa: arabi, inglese, non si capisce un gran ché. O meglio la tv non ci spiega un gran ché. Operai senza voce costretti ad azioni eclatanti, costretti a trincerarsi “in un’ isola simbolo della più grande Sardegna ormai in crisi profonda, alloggiati in celle non peggiori delle sbarre che governo, regione ed Eni hanno messo loro davanti”. Per spaccare quelle sbarre e per evadere dal quel carcere lottano. Lottano per la libertà. Lottano perché, come scrive sul gruppo facebook L’Isola dei cassintegrati Roberto Cussigh: “domani può darsi che dovremo sederci davanti ai nostri figli e dire loro che siamo stati sconfitti. Però potremo guardarli negli occhi senza dover dire loro che vivono così perché non abbiamo avuto il coraggio di lottare”.