Non trasformiamo la Siria e il Medio Oriente in un covo di terroristi

Massimo Ragnedda (Tiscali) La situazione in Siria precipita ogni giorno di più: violenze settarie, attentati terroristici, infiltrazioni di fondamentalisti, repressione del governo. Il vero rischio è che la  situazione precipiti in una guerra religiosa e si estenda a macchia di leopardo ovunque in Medio Oriente. Qualcosa di simile è già emersa in Libano con scontri tra sciiti e sunniti, in Giordania la situazione è incandescente, in Baharain la rivolta popolare sciita è repressa nel sangue dalla monarchia assoluta filo saudita e sunnita.

La rivolta contro il governo Assad dura da 18 mesi oramai, segno che Assad gode ancora di una certa popolarità e può ancora contare su una parte del suo esercito,  nonostante l’intervento dell’Occidente che paga i dissidenti per abbandonare il governo o l’esercito. Ricordo che in Egitto l’inossidabile Mubarak è caduto in meno di dieci giorni; in Tunisia la rivolta popolare ha deposto il regime in pochissimo tempo e in Libia la rivolta contro l’astuto e temibile Gheddafi è durata pochissimo, eppure era molto armato, aveva un esercito di mercenari e armi in abbondanza. In Siria si combatte da 18 mesi e la rivolta non accenna a decollare. Mancanza di logistica e armi oppure la rivolta non ha presa popolare?

Che l’esercito libero siriano sia solo in parte costituito da cittadini che sognano una democrazia è testimoniato anche dalla presenza di migliaia di fondamentalisti islamici che con la rivolta popolare, pure legittima e in parte genuina, niente hanno a che fare. In Siria sono operativi decine di migliaia di terroristi legati ad Al-Qaida e suddivisi in almeno due grossi gruppi: il gruppo di Al-Majd, cittadino saudito che viveva nel campo profughi libanese Ein al-Hilweh e “nominato”, secondo fonti dell’intelligence giordana, capo di Al-Qaida (o quello che ne rimane) in Siria.

Questo gruppo, in guerra aperta con Hezbollah (sciiti) e per questo considerato da Israele un prezioso “alleato”, conta almeno 6000 terroristi entrati in Siria dall’Iraq e dalla Turchia ed è particolarmente attivo nel Nord della Siria. Poi abbiamo un’altra organizzazione jihadista guidata dal giordano salafita Muhammad Al-Shalabi, noto come “Abu Sayyaf” che ha appena dichiarato al giornale saudito Al-Sharq che centinaia e centinaia di jihadisti proveniente dalla Giordania, dall’Iraq, dalla Libia e dagli stati arabi sono impegnati nella guerra santa contro Assad. Questo gruppo ha la sua base logistica nel sud, a Daraa per l’esattezza. A questi due gruppi si deve aggiungere un terzo legato agli jihadisti yemeniti che hanno deciso di combattere contro Assad e che in questi giorni stanno raggiungendo la Siria. Le domanda che noi tutti dovremmo farci sono: chi arma e finanzia questi gruppi? Cosa ne sarà di loro domani? Non si corre il rischio, armandoli e finanziandoli, di legittimarli e dar loro troppo peso e importanza? Ripeto la rivolta in Siria può anche essere legittima, cio che non lo è affatto è finanziare, come l’Occidente con l’ausilio della Turchia e dell’Arabia Saudita sta facendo, terroristi e jihadisti per combattere contro il comune “nemico” Assad, poichè una volta caduto Assad (se questo accadrà) diventeranno loro i veri nemici della pace, dei diritti umani e dell’Occidente. Il rischio, lo sottolineo ancora una volta, è quello di trasformare, come abbiamo fatto con l’Afganistan negli anni 80’, la Siria e il Medio Oriente in un covo di fondamentalisti che a distanza di anni ci si rivolterà contro. Come ha ricordato Lakdar Brahimi, il navigato diplomatico che è il nuovo inviato di Onu e Lega Araba per la crisi siriana, la situazione è drammatica, ma spetta ai siriani e solo ai siriani decidere sul loro futuro.

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