Massimo Ragnedda (Tiscali) Correva l’anno 2003 e gli Stati Uniti, a capo di una coalizione internazionale, si preparavano ad invadere l’Iraq. Porteremo democrazia, pace e serenità, ripetevano i megafoni della propoganda occidentale. Faremo la guerra per avere la pace, ripeteva, con chiaro stile orwelliano, l’allora presidente statunitense Bush.
Qualche settimana prima dello scoppio della guerra, il 15 Febbraio 2003, le piazze di tutto il mondo si colorarono con le bandiere della pace. I manifestanti ripetavano: la guerra non risolverà i problemi, anzi porterà fame, miseria e morte. È stata la più grande manifestazione mondiale per la pace mai organizzata, milioni e milioni di persone ovunque nel mondo a chiedere ai propri rappresentanti nelle istituzioni di bloccare la guerra. Sappiamo come è andata: la voce di centinaia di milioni di persone è stata inascoltata. Come se non contasse, come se le orecchie di chi era allora al governo fossero sorde al volere della popolazione in nome della quale dice di governare. Dieci anni dopo le morti, gli orfani, la disperazione, la fame, la crudeltà, la violenza, i mutilati sono lì a ricordarci che chi chiedeva la pace aveva ragione e chi, per interessi privati e personali, ha scatenato la guerra aveva torto. Dieci anni dopo sappiamo che sono morti, secondo uno studio della Brown University, circa 190.000 iracheni, 4.488 soldati americani e almeno 3.400 mercenari statunitensi e molti altri mai registrati. Sappiamo che ci sono, secondo fonti Onu, 600mila orfani e 1.3 milioni di cittadini iracheni sono stati sfollati internamente e quasi 2,5 milioni sono fuggiti all’estero in esilio.
Dove è la pace Mr. Bush? Dove è la democrazia Mr. Blair? Voi, più di tutti, avete voluto la guerra, voi avete bombardato l’Iraq, voi avete consegnato un Paese in mano ai terroristi, voi avete lasciato un paese devastato, saccheggiato e distrutto. Voi, eletti per governare in nome e nell’interesse dei vostri cittadini, avete voluto la guerra, mentre il mondo vi chiedeva di non farla. Come fate a dormire sonni tranquilli, non sentire il peso della responsabilità, non avvertire un vuoto nello stomaco ogni volta che un’autobomba esplode nel centro di Bagdad e uccide decine di civili innocenti? Come fate a non sentirvi colpevoli di questo disastro umano e sociale? Come fate a non pensare ai 600mila orfani che avete creato, alle centinaia di migliaia di vite che avete stroncato, ai milioni di cittadini che vivono ogni giorno nel terrore? Come fate a non sentirvi colpevoli di tutto questo? La storia vi condannerà.
Avete portato avanti una guerra inutile e dannosa le cui conseguenze le pagheremo per decenni. La guerra, in termini economici, è costata sinora ai contribuenti americani circa 2.200 miliardi di dollari. Soldi che si sarebbero potuti usare per l’istruzione, creare occupazione o per avere una sanità pubblica e invece sono stati usati per distruggere un Paese, uccidere quasi 200mila persone e destabilizzare un’intera area del mondo. Soldi che sono serviti per far arricchire i grandi lobbisti che finanziano le campagne elettorali statunitensi (anche questo succede quando la politica è pagata dai privati), come la Kellogg Brown and Root (Kbr), della Halliburton, un tempo guidata dall’ex vicepresidente Dick Cheney, che ha intascato almeno 39,5 miliardi di dollari in dieci anni. E questo è solo uno dei tanti esempi di come ci si possa arricchire della guerra facendo pagare il conflitto ai contribuenti.
La guerra, semmai ci fosse bisogno di ricordarlo, non si fa per esportare pace e democrazia (questi due concetti servono ai grandi media per giustificare la guerra e farla così accettare all’opinione pubblica e ai contribuenti), ma per saziare gli interessi privati di qualcuno, conquistare nuovi mercati e ridisegnare gli interessi geostrategici. È stato così in Iraq, è stato così in Libia, è così in Siria e sarà così in Iran. La storia insegna – diceva Gramsci – ma non ha scolari.