Massimo Ragnedda (Tiscali) Sono passati più di due anni dall’inizio della guerra civile in Siria. Decine di migliaia di morti, centinaia di migliaia di profughi, città distrutte e un Paese in ginocchio. La guerra in Siria è, a tutti gli effetti, una guerra mondiale anche se combattuta a livello locale. È una guerra che coinvolge i principali attori a livello internazionale: Francia, Inghilterra, Turchia, le petromonarchie (Arabia Saudita e Qatar in testa) e in maniera più defilata gli Stati Uniti che armano, finanziano e supportano i ribelli anti-Assad e dall’altra Russia, Iran e in maniera più defilita la Cina che supportano le forze filogovernative di Assad. La posta in gioco è molto alta: ridisegnare il Medio Oriente, limitare l’ascesa dell’Iran e limitare le interferenze russe e cinesi in Medio Oriente, oltre ovviamente alla scontro tra sciiti e sunniti. L’Occidente, vien da sè, ha da sempre interessi strategici nell’area e non è il caso di elencarli. La Turchia, con Erdogan (leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) di ispirazione islamica sunnita), sogna di rifondare l’impero ottomano, così come le petromonarchie arabe (sunnite) sono interessate a contrastare l’ascesa economica, politica e religiosa dell’Iran (sciita) nella regione. Dall’altra, invece, troviamo gli interessi russi che proprio in Siria hanno un porto militare che si affaccia sul Mediterraneo. La cosa è ovviamente di vitale importanza da un punto di vista strategico, tanto che qualche settimana fa Sergeij Shoygu, ministro della difesa russo, ha ufficialmente comunicato che per tutelare gli interessi russi nella regione, istituirà una task force della Marina che presenzierà stabilmente nel Mediterraneo. Il porto di Tartus in Siria è dunque strategicamente fondamentale e, difficilmente, permetterà che il regime di Assad cada (Cipro, eventualmente, sarebbe un’ottima alternativa). Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti hanno un ruolo più defilato, perché intervenire direttamente nel conflitto siriano significherebbe scontrarsi con la Russia.
La Cina, è bene ricordarlo, è affamata di petrolio tanto da essere diventata, secondo il Financial Times, il primo importatore di petrolio al mondo e dunque ha tutto l’interesse, dopo aver colonizzato il continente africano e stretto legami commerciali con tutti i paesi latinoamericani, a essere presente anche nel Medio Oriente. Per questo è impegnata nel tentare una risoluzione del conflitto tra Israele e Palestina e non è un caso che sia il primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu che il presidente palestinese Mahmoud Abbas si siano entrambi recati in Cina all’inizio di Maggio.
L’Iran, dopo la caduta di Saddam Hussein, ha aumentato la propria influenza strategica in Medio Oriente e la Siria (il regime di Assad è alawita, ovvero appartenente a una sottobranca religiosa dello Sciismo) è un alleato strategico, oltre ad essere un crocevia degli armamenti che giungono ai guerriglieri sciiti degli Hezbollah presenti nel sud del Libano ed acerrimi nemici di Israele (l’ultima guerra tra i due risale al 2006). Gli Hezbollah (Partito di Dio) sono massicciamente presenti in Siria e stanno combattendo, con ottimi risultati, al fianco delle truppe filogovernative. Sullo sfondo Israele aspetta (ed ogni tanto bombarda postazioni militari filo-Assad) e nel frattempo sposta truppe e armamenti nelle alture del Golan, territorio siriano occupato militarmente da Israele dopo la guerra del 1967.
Insomma quella che si combatte in Siria è una guerra che coinvolge le principali potenze mondiali, ognuna impegnata a tutelare i propri interessi geostrategici. È, come ho detto all’inizio, una guerra mondiale con i protagonisti intenti a giocarsi tutte le armi: supporto economico, strategico e militare. Anche i media giocano un ruolo cruciale. I media occidentali, Al Jazeera e i media turchi, ad esempio, sono tutti schierati con i ribelli siriani mentre i media iraniani, russi (in particolare Russia Today, la televisione russa in lingua inglese) e in parte quelli cinesi sono a favore del governo di Assad.
Il gioco, da un punto di vista mediatico, è piuttosto semplice: enfatizzare i crimini del nemico. Così, se ci fate caso, i media occidentali enfatizzano i crimini delle forze governative di Assad, mentre gli altri media enfatizzano quelle dei ribelli. Qui in Inghilterra, ad esempio, seguo sia Al Jaazera (organ house delle petromonarchie) e Russia Today (organ house degli interessi geostrategici russi) ed è interessante notare come le due emittenti diano una visione completamente diversa della guerra, con tanta pace per l’obiettività. I crimini sono commessi da entrambi le parti, così come, per onestà di cronaca, il regime di Assad non è meno feroce nel reprimere gli atti di violenza di quanto faccia il Bahrein (alleato dell’Occidente) ed è sicuramente meno chiuso della monarchia saudita, sicuramente una delle peggiori dittature al mondo.
Insomma quando ascoltiamo le notizie che giungono dalla Siria teniamo in mente sempre alcune cose: innanzitutto entrambi le parti in guerra commettono atrocità; secondo, la questione dei diritti umanitari è solo un pretesto usato propagandisticamente ora da uno ora dall’altro, ma soprattutto ricordiamoci che quella che si combatte in Siria è una guerra che va al di là dei confini siriani. È una guerra mondiale combattuta a livello locale.
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Ottimo articolo.
Per approfondire http://www.israeleoggi.com
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