Massimo Ragnedda (Tiscali). Riporto alcuni dati dell’ultimo rapporto Censis che fotografano, in maniera spietata, l’Italia degli ultimi anni. Uno spaccato della nostra società sul quale è necessario fare delle serie riflessioni. È necessario fermarsi un attimo e porci delle domande per vedere il malcontento generale, il disagio sociale e la rabbia che cova. È necessario riflettere su questi dati per capire quanto sia facile e pericoloso, in questo frangente storico, strumentalizzare il malcontento e trasformarlo in azione. Il primo dato preoccupante si riferisce al risparmio delle famiglie italiane. L’Italia, da sempre considerata terra di risparmiatori, non riesce più a mettere da parte soldi che possono essere utili in caso di necessità: dal 2007 al 2012 il risparmio netto annuo per famiglia è passato da 4.000 euro a 1.300 euro. Una caduta verticale che ci deve far interrogare sul potere di acquisto delle famiglie, sempre più ridotto, e sulla capacità di far fronte a spese impreviste. La capacità di risparmiare, come è facile immaginare, incide anche sul mercato immobiliare. Non è un caso infatti che nello stesso periodo le compravendite di case siano crollate del 45%, con tutte le conseguenze a catena che questo comporta.
Un altro dato particolarmente significativo è che nell’ultimo anno sono state quasi 8 milioni le famiglie italiane che hanno dovuto chiedere un aiuto economico alla propria rete familiare. Tradotto in altri termini: 8 milioni di famiglie in Italia hanno difficoltà economiche e spesso non riescono a pagare le tasse che lo Stato impone. Particolarmente colpito il settore del commercio o delle piccole imprese: dal 2009 ad oggi hanno chiuso i battenti ben 1,6 milioni di imprese. Un dato impressionante. Un dato che spinge sempre più italiani a cercare fortuna, o dignità, all’estero. Negli ultimi 10 anni più di 4,3 milioni di italiani sono fuggiti all’estero. Dato in forte crescita nell’ultimo anno. È vero che il tutto si inserisce all’interno di una crisi internazionale causata dalle speculazioni dell’alta finanza, ma è anche vero che i governi locali avrebbero dovuto reagire in diverso modo.
Guardiamo a quanto è stato fatto negli ultimi anni e chiediamoci se questo sia il modo migliore di affrontare una crisi di questa portata. Negli ultimi due anni i due governi PD-PDL (prima Monti e ora Letta) hanno tagliato i fondi alla sanità pubblica, andando a toccare una delle più grandi conquiste sociali del dopo guerra che ha permesso, sinora, a milioni di cittadini di ricevere cure. Il passo verso la privatizzazione è già iniziato da tempo e il governo PD-PDL, con la scusa della crisi, continua spedito su questa strada. Altrettanto degno di nota è il taglio dei fondi per la ricerca, per la scuola e l’Università. Anche qui si persegue una scia molto pericolosa che acuisce la diseguaglianze sociale e indebolisce notevolmente il settore della ricerca e dell’istruzione pubblica. C’è poi il doloroso capitolo delle pensioni con la sciagurata riforma Fornero votata dal PD e dal PDL. Una mazzata per i pensionati e le famiglie italiane, le più colpite dalla crisi e indebitamente chiamate a pagarne il saldo.
Al contempo, però, il governo PD-PDL ha stanziato fondi per comprare aerei da guerra (16 miliardi) e navi da guerra (4 miliardi), andando così a rimpinzare le casse delle multinazionali d’armi. Ha regalato, in diverse forme, quasi 10 miliardi di euro alle banche (dal Monte Paschi di Siena a UniCredit), soldi che sono stati tolti ai servizi pubblici. Si taglia sulla sanità pubblica per comprare armi. Si tagliano le pensioni per aiutare le banche. Si taglia la scuola pubblica per aiutare le scuole private.
È vero la crisi è generalizzata, ma ogni governo è, teoricamente, libero di recepire le regole imposte dalla Troika, proprio per salvare quelli che la crisi l’hanno creata. Appunto per questo che la Troika e la grande finanza internazionale preferiscono che a governare siano uomini di loro fiducia: prima Monti e ora Letta, nessuno dei due eletti dai cittadini ed entrambi uomini legati all’alta finanza internazionale, dal gruppo Bildeberg alla Trilaterale. Aspettarsi da loro una cambio di rotta è impensabile, proprio perché il loro dovere è tutelare gli interessi delle banche. E, devo ammettere, lo stanno facendo piuttosto bene.
Nel frattempo, però, il malcontento cresce e la rabbia sinora tenuta a freno dai media, sta esplodendo. A dire il vero non sono tanto preoccupato per l’immediato, ma per il prossimo futuro, quando il malcontento sarà incontenibile e qualcuno sarà in grado di captarlo e trasformarlo in azione. E allora la tenuta democratica del Paese sarà a rischio.