Al Qaeda issa la bandiera a Falluja. Ennesima sconfitta per gli Stati Uniti

Damaged-Buildings-Syrian-Civil-WarMassimo Ragnedda (Tiscali) Oramai sono passati più di 10 anni da quando gli Stati Uniti, guidati dai neocons, hanno scatenato una pesantissima offensiva militare per mettere mano al petrolio iracheno. Bush, Cheney e Rumsfeld volevano destituire il loro vecchio alleato Saddam Hussein (non più utile alla loro causa) e piazzare un governo fantoccio (sulla scia di quanto fatto in altre parti del mondo) da controllare a distanza. L’obiettivo, come si è detto, era mettere mano alle ingenti risorse petrolifere irachene. E per raggiungere questo mai celato obiettivo i neoconservatori americani non si sono fatti scrupoli ad aggredire un paese sovrano, violare il diritto internazionale e lasciare sul tappeto circa 600 mila morti.

La guerra, però, per essere venduta all’opinione pubblica, ha necessità di un casus belli, di un pretesto sulla base del quale creare una campagna di propaganda atta a giustificarla. E il pretesto per aggredire l’Iraq è stato fornito dall’11 settembre. Infatti, non passò neanche una settimana da quegli attentati che l’allora vicepresidente statunitense Cheney puntò il dito contro l’Iraq di Saddam Hussein (senza mai fornire un briciolo di prova). Iniziò così, complici i media occidentali, la lunga offensiva propagandistica degli Stati Uniti per convincere alleati e opinione pubblica ad appoggiare la guerra. Ovviamente tutti sapevano che la guerra aveva come unico obiettivo quello di far arricchire le multinazionali del petrolio (sia Bush che Cheney provenivano da questo ambiente e ne curavano  gli interessi) e continuare a mantenere in piedi il sistema consumistico statunitense e occidentale. Ciò nonostante, un po’ per convenienza, un po’ per ipocrisia e un po’ per Realpolitik diversi governi occidentali (compresa l’Italia) e parte dell’opinione pubblica hanno fatto finta di non vedere e non sapere quali fossero le reali ragioni di quella guerra, e hanno deciso di sostenere questa aggressione militare, rendendosi così complici di un massacro su larga scala.

 

La versione ufficiale era tanto banale quanto falsa: la guerra contro l’Iraq serviva ad esportare la democrazia e combattere al Qaeda (creata qualche anno prima dagli USA per combattere i sovietici in Afganistan). Ma di al Qaeda, all’epoca, in Iraq non vi era nemmeno l’ombra. Il paradosso di quella guerra che ha distrutto un intero paese ed è costata centinaia di migliaia di morti, decine di migliaia di orfani e miliardi di dollari ai contribuenti americani (ma anche italiani che hanno dovuto sostenere economicamente e militarmente la guerra) è che ora al Qaeda è presente in Iraq. Presente dove prima non c’era. Così come è presente in Libia dopo che francesi, inglesi e americani hanno scatenato una guerra per destituire il non più utile Gheddafi e mettere così mano al petrolio libico, consegnando un Paese a gruppi armati in lotta tra loro e che ora rischiano di spaccare la Libia in tre Stati.

 

Stesso copione seguito in Siria, dove statunitensi (a dire il vero un po’ più defilati) e sopratutto francesi e inglesi hanno armato, addestrato e finanziato terroristi islamici che avevano e hanno come unico obiettivo quello di creare il grande califfato. L’intervento armato diretto degli Stati Uniti in Siria è stato però scongiurato dalla Russia di Putin, e non di certo per motivi filantropici, ma per ragioni strategiche (la Russia, come noto, ha in Siria il suo unico porto militare nel Mediterraneo). Gli Stati Uniti, la Francia e l’Inghilterra si sono “limitati” ad armare e fornire sostegno logistico ai cosiddetti “ribelli” siriani anche se oggi, perlomeno ufficialmente, hanno smesso di fornire “aiuti”.

 

Ma in Siria i terroristi di al Qaeda continuano ad essere sostenuti ed armati dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dalla Turchia. Ed è proprio grazie a queste armi, all’addestramento della CIA in Giordania e Turchia e ai soldi sauditi che i terroristi di al Qaeda si sono rafforzati in Siria e in tutto il Medio Oriente e, in questi giorni, sono riusciti a issare la bandiera nera di al Qaeda a Falluja (che dista solo 65 Km dalla capitale Bagdad), la città simbolo della resistenza antiamericana in Iraq. Sono riusciti ad issarla là dove durante il regime di Saddam una cosa simile non sarebbe mai stata possibile e pensabile (senza per questo voler difendere o giustificare l’operato del dittatore iracheno).

 

Il paradosso è dunque che quella guerra del petrolio, ufficialmente scatenata per esportaremanu militari la democrazia e combattere il terrore, ha invece portato al Qaeda dove prima non esisteva. Nouri al-Maliki, il premier iracheno, è oggi costretto a lanciare un’offensiva militare contro i terroristi di Al Qaeda, gli stessi che noi armiamo in Siria. I terroristi della rete ISIL (Islamic State of Iraq and the Levant, in arabo ad-Dawla al-Islāmiyya fi al-‘Irāq wa-sh-Shām) formatisi all’inizio della guerra in Iraq, nel 2004 si sono “uniti” ad al Qaeda ed oggi sono molto operativi in Siria dove, in alcune aeree, sono riusciti ad instaurare la Sharia. Questi terroristi si sono macchiati di efferati attentati terroristici (e non solo in Siria, basti pensare a quanto sta succedendo nel vicino Libano), sequestri e decapitazioni e continuano a ricevere sostegno e armi dalle petromonarchie.

 

La guerra in Iraq non solo è stata una tragedia umana, ma è stata anche un grosso errore storico, così come un grosso errore storico è stato il sostegno dato ai terroristi islamici in Siria. E, tra un po’, ne pagheremo le conseguenze.

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