Italia maglia nera per numero di laureati: siamo all’ultimo posto

UE28Laureati2004_13Massimo Ragnedda (Tiscali) L’Italia nel 2004, come percentuale di laureati nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 34 anni, era quartultima. Dietro di noi, dieci anni fa, c’erano solo la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Romania. Ma in questi dieci anni abbiamo fatto di meglio ed oggi eccoci in testa alla classifica, o meglio in fondo. Peggio di noi nessuno. Oggi l’Italia si trova all’ultimo posto in Europa come numero di laureati. Un primato di cui avremmo fatto volentieri a meno, ma che ci siamo guadagnati sul campo grazie alla lungimirante visione politica di chi, in questi ultimi 10 anni, ha governato il paese.

 

E la cosa più triste e preoccupante è che l’Italia continua a investire sempre meno nella ricerca e nell’istruzione. Anche le proiezioni per i prossimi anni non sembrano essere positive, anzi. Il gap tra l’Italia e gli altri paesi dell’Unione Europea tenderà inesorabilmente a crescere. In Italia il numero dei laureati raggiunge appena il 20% della popolazione in età compresa tra i 25 e i 34 anni, contro il 40% della media Ocse o il 60% circa di Canada, Giappone e Russia. La situazione è, manco a dirlo, assai più grave nel Mezzogiorno d’Italia dove si registra una vera e propria fuga dall’Università. Il numero delle immatricolazioni è crollato vertiginosamente, così come è aumentato il numero dei giovani disoccupati o immigrati. E anche in questo caso le previsioni per il futuro non sono affatto positive. Non ci sono risorse per creare occupazione, elargire borse di studio o reclutare nuovi docenti, ma i soldi per finanziare l’acquisto di 90 aerei da guerra (pardon, 89, visto che Renzi è riuscito a tagliare l’acquisto di un aereo, sic!) si trovano. Eccome se si trovano: Napolitano garantisce (mi sono sempre chiesto perché Napolitano ci tenga così tanto a destinare 16 miliardi di euro, frutto delle tasse degli italiani, ad una multinazionale americana. Chissà perché?).

 

Sempre a proposito di record negativi, l’Italia ha il più alto tasso di abbandono dell’Università (33%)e il più basso tasso di ritorno: solo l’8% di coloro che abbandonano l’Università decide di rientrare. Forse perché, una volta abbandonata l’Università, si capisce l’inutilità di una Università che non prepara e non è collegata con il mondo del lavoro.

 

A peggiorare la situazione vi è anche il reclutamento di nuovi docenti, oramai fermo da diversi anni, e il metodo di reclutamento, sempre più basato sul nepotismo e sulla corruzione baronale. Il calo del numero dei docenti e il peggioramento del rapporto numero tra discenti e docenti non può che peggiorare la qualità delle Università italiane e della formazione delle future generazioni. I dipartimenti, per sopperire alla mancanza di risorse, sono costretti a bandire bandi da professore a contratto e pagare i docenti precari qualche migliaio di euro all’anno. Le Università italiane si basano sempre più sul lavoro precario di giovani ricercatori, sfruttati, vessati e spesso umiliati. Eppure il 50% della produzione scientifica e dell’impegno didattico proviene proprio dai precari. Buona parte di loro sono costretti ad emigrare all’estero (come nel mio caso, dopo diversi anni di precariato) o abbandonare l’Università, gettando al vento anni di studio e ricerca. Professionalità che un sistema marcio non è grado di trattenere e valorizzare: un immenso capitale sociale dilapidato che non può che impoverire tutto il sistema Italia.

 

La situazione è, in poche parole, deprimente e fotografa, in maniera chiara e nitida, quello che è il declino del paese. Paese che un tempo (molto lontano) fu la patria della cultura e che ora sta diventando la patria della decadenza. Anche questo è il segno dei tempi.

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4 thoughts on “Italia maglia nera per numero di laureati: siamo all’ultimo posto

  1. Massimiliano

    Massimo Ragnedda è sempre calzante ed istruttivo e anche in questo articolo ci sono spunti più che condivisibili: qui, però, devo discordare su un aspetto, se vogliamo, alquanto comune: il fatto che l’aumento del numero dei laureati sia da considerare a priori come un paramentro positivo, con il correlativo confronto con l’estero, impietosamente negativo nei confronti dell’Italia. Caro Massimo (mi permetto, per stima, di chiamarLa per nome): qui La devo contraddire. Il problema, a mio avviso, è il troppo elevato numero dei laureati e non viceversa! Sia da un punto di vista sociale pratico (una società non ha bisogno solo di laureati, tutt’altro!) sia in considerazione di altri fattori, che mai, mi pare vengono messi in rilievo. Anche se poco elegante, mi permetto di elencare gli argomenti per punti per una maggiore chiarezza.
    1) Un tempo, le lauree italiane fornivano una preparazione senza pari (tanto è vero che erano molto ricercate in altri Paesi) con il problema, però, della carenza di praticità: quindi, ci si laureava tardi e bisognava poi investire ulteriore tempo per avere le capacità di mettere in pratica quanto imparato, con conseguente ingresso posticipato nel mondo del lavoro. Ovviamente, i “politici” hanno pensato bene, senza alcuna competenza e metodo, di scimmiottare altri sistemi sic et simpliciter, con lo scontato risultato di distruggere l’impareggiabile base teorica e culturale senza manco riuscire nell’intento di rendere più fruibile praticamente il sapere né, tanto meno, agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro; tutt’altro: con la scusa dei cosidetti tirocini (o “stage” per i più moderni) si è trovato il modo, con il classico gioco delle tre carte, di aggirare il concetto universale sacrosanto (prima ancora che norma di diritto) della retribuzione del lavoro! E così, diverse aziende hanno potuto usufruire, de facto, di lavoro gratuito.
    2) Collegato a quanto appena detto, va da sé che la qualità universitaria, più che essere scemata, è andata sotto terra (non parliamo di quella degli altri livelli di istruzione). Lo dico nel mio ambito, quello delle scienze umane ma non credo affatto che le cose siano diverse anche negli altri settori. Non solo i programmi sono diventati, obbligatoriamente, a dir poco insulsi, per poter permettere a tutti, indistintamente, di essere “laureato” (qui si confonde l’accesso allo studio, che è un diritto, all’ottenimento di un risultato, che tale affatto non è) ma diversi studenti si permettono di arrivare alla fine degli studi, avvantaggiati da questo sistema, carenti delle basi essenziali nelle materie oggetto del loro corso formativo. Questi “laureati” non servono, né alla società, né, ahiloro a sé stessi.
    3) Il fatto che le persone fuggano dall’Università, stanti anche le perfette considerazioni di Ragnedda in questo specifico aspetto, trova più che una spiegazione; solo per dirne una, in linea coi tempi: ho conosciuto diverse persone che hanno dovuto rimandare cure per la propria salute: sarebbe saggio spendere cinquemila euro per un master quando si sa, rebus sic stantibus, quali saranno i riscontri pratici?
    Un caro saluto

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  2. Massimiliano

    Salve,
    volevo sapere che fine ha fatto il mio commento postato qualche giorno fa (sicuramente non credo sia stato censurato). Un caro saluto

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