Massimo Ragnedda (Tiscali) I terroristi dell’ISIS (Islamic State of Iraq and Syria) hanno appena proclamato la nascita di un califfato musulmano e il suo leader è Abu Bakr al Baghdadi, l’attuale capo dell’ISIS. Ma questa, per chi analizza le vicende del Medio Oriente, non è di certo una sorpresa. Anzi, è la conferma di quanto andiamo dicendo da tre anni a questa parte, da quando la “rivoluzione siriana” ha avuto inizio. Una rivoluzione nata per chiedere maggiori diritti, ma che si è subito trasformata in una guerra santa per creare un califfato che andasse ben al di là dei confini imposti dalle potenze coloniali europee (Inghilterra e Francia) dopo la prima guerra mondiale. E non è un caso che l’annuncio della formazione di questo califfato, che ora controlla un territorio con circa 12 milioni di persone, sia avvenuto all’indomani del centesimo anniversario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale. Fu infatti a seguito di quella guerra e con la scomparsa dell’impero Ottomano che i confini del Medio Oriente furono artificialmente creati e imposti. Ora il califfato ha annullato questi confini, abbattuto le barriere che separavano due paesi un tempo laici (Iraq e Siria) e ha creato un califfato che controlla diverse città importanti come Mosul (Iraq) parte di Aleppo (Siria) Rutba (Iraq) i sobborghi di Dayr az Zor (Siria). Un’area molto vasta guidata da fondamentalisti islamici e che mira a conquistare (cosa per ora impensabile) la Giordania (l’ISIS ha già conquistato alcuni territorio proprio a ridosso del confine giordano) e il Libano (da tempo sotto attacco dei terroristi dell’ISIS).
E tutto questo, non mi stancherò mai di ripeterlo, per colpa degli Stati Uniti, della Francia e dell’Inghilterra che hanno appoggiato, armato e sostenuto questi terroristi in Siria. Gli Stati Uniti continuano tuttora a finanziare ed armare i “moderati” terroristi dell’ISIS in Siria, proprio mentre l’ISIS conquista l’Iraq, estende il califfato e uccide indiscriminatamente tutti quelli (come i 1700 militari iracheni giustiziati e buttati in fosse comuni) che si oppongono alla loro “legge”. Questi “moderati” terroristi dell’ISIS sostenuti e finanziati dagli Stati Uniti, hanno in questi giorni giustiziato otto siriani a Dayr Hafer (nella regione di Aleppo) esponendo i corpi su croci di legno. Obama, come riporta The Gurdian, sta cercando 500 milioni di dollari (dei contribuenti americani) per addestrare i “moderati” ribelli siriani e combattere contro Assad.
Ma il principale sostegno finanziario, logistico e “diplomatico” arriva dall’Arabia Saudita (che ha “fondato” i talebani), dal Qatar, dal Kuwait e in misura minore dalla Turchia, tutti alleati statunitensi, intenti a contrastare l’influenza iraniana (ma anche della Russia) nell’area. Una guerra per il controllo del petrolio, ma anche per il controllo di un’area così vitale per gli equilibri geopolitici. Una guerra che si combatte a colpi di barbarie, attentati, esecuzioni di massa. Una guerra che attira jihadisti da tutto il mondo (solo dall’Inghilterra si calcolano siano giunti in Iraq e Siria ben 700 persone) e che comincia a preoccupare seriamente i servizi di sicurezza dei nostri paesi quando questi “combattenti”, con passaporto europeo, torneranno nelle nostre città per continuare la loro guerra.