“Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!” Sono passati 41 anni da quando il legittimo presidente cileno Salvador Allende pronunciò questo discorso. Il suo ultimo discorso da presidente. Il suo ultimo discorso da uomo. Morì quello stesso giorno e con lui morì la democrazia. Con Allende morirono decine di migliaia di persone, uccise dalla ferocia del dittatore Pinochet. Sono passati 41 anni da quell’infausto 11 Settembre del 1973. 41 lunghi anni da quando il generale Pinochet, spinto e sostenuto dagli Stati Uniti di Nixon e Kissinger (poi insignito del premio Nobel per la pace!), destituì un presidente amato dal popolo, ma non dagli USA. L’11 settembre del 1973 è uno dei giorni più bui del ‘900. Un giorno che ha cambiato, per sempre, la storia del Cile, dell’America Latina e del mondo intero. Un giorno che non può essere dimenticato. Iniziò quel giorno una sanguinosa dittatura che durò 17 anni. La colpa di Allende è stata quella di aver iniziato un percorso di riforma che comprendeva la nazionalizzazione di alcune grandi imprese (cosa che gli USA non potevano tollerare), un programma per la distribuzione gratuita di latte per i bambini e la riforma del sistema sanitario con l’obiettivo di estendere la sanità a tutte e tutti i cittadini cileni e non solo ai più abbienti. Principi, ancora oggi, intollerabili per gli Stati Uniti (si vedano i tre falliti golpe contro il Venezuela di Chavez).
Così, prima boicottarono diplomaticamente ed economicamente il Cile e poi sostennero militarmente ed economicamente il golpe fascista. Anche l’allora Papa, oggi santificato dalla Chiesa romana, andò a stringere la mano ancora grondante di sangue del dittatore cileno. Perché, come la storia insegna, ci sono dittatori buoni e dittatori cattivi. Pinochet, secondo gli USA e la Chiesa cattolica romana, fa parte di quelli buoni. Nonostante abbia ucciso decine di migliaia di persone; nonostante abbia trasformato l’Estadio Nacional in un campo di concentramento, dove nei due mesi successivi al golpe migliaia di persone furono torturate ed uccise. Migliaia di persone torturate ed uccise perché avevano sognato un mondo diverso. Tra di loro Victor Jara, autore di indimenticabili canzoni e politicamente vicino a Salvador Allende. In quello stadio trasformato in campo di concentramento, prima gli furono spezzate le dita e poi le sue mani. Pensarono, i fascisti cileni, che spezzandogli le dita avrebbero spezzato anche la sua musica impegnata. Si sbagliavano quei fascisti. La sua musica e le sue parole sono ancora vive e con esse il desiderio di un mondo migliore. Quando la moglie, Joan Turner, andò a riprendersi il cadavere, gli trovò in tasca una poesia che Victor aveva scritto poco prima che venisse ucciso. Ne riporto un pezzo, per ricordare, con le parole di Victor Jara, le vittime della dittatura cilena. Riporto le sue parole per ricordare l’infamia di quell’11 settembre del 1973.
“¡Qué espanto produce el rostro del fascismo!
Llevan a cabo sus planes con precisión artera
sin importarles nada.
La sangre para ellos son medallas.
La matanza es un acto de heroísmo.
¿Es este el mundo que creaste, Dios mío?”